Dall’arido e fascinoso deserto del Marocco siamo passati ad uno dei più famosi canyon al mondo, che divide la catena montuosa dell’Alto Atlante dal Jebel Sarhro: le Gole del Todra.

Questa valle scavata dall’acqua nel corso dei secoli e caratterizzata in alcuni punti da dirupi alti fino a 300m non ha nulla da invidiare al Sahara: le sue alte pareti di roccia rosa e grigia costeggiano i villaggi berberi fino a che sembrano chiudersi intorno alla strada come una porta automatica naturale creata dagli dèi.

Ricca di palme, olivi e mandorli, è una zona che si presta alla coltivazione di ortaggi, una delle principali fonti di sostentamento della popolazione del luogo, insieme al turismo.

A noi italiani sembrerà davvero strano, ma innumerevoli appezzamenti di terra sono divisi in “striscioline” da linee immaginarie ricalcate da piccoli sassi appoggiati lungo il confine, che ricordano ai legittimi proprietari fino a dove si estende il proprio orticello.

Ognuno cura il proprio terreno, per portare a casa qualcosa da mangiare alla propria famiglia. Sembra banale, ma non hanno confini delimitati da siepi, inferriate o cancelli, ma da un separé molto più potente: il rispetto per gli altri.

Le Gole del Todra sono anche una delle zone più frequentate da sportivi amanti dell’arrampicata e del trekking: sfido chiunque ami la montagna non lasciarsi contagiare da questi panorami maestosi e dalla voglia di salire un qualche sentiero.
Percorrendo la strada che attraversa la vallata, non si potranno che notare simboli berberi dipinti sulle case stesse o sulle colorate sciarpe vendute alle bancarelle.

Ma chi sono questi berberi?
Stiamo parlando degli antichi popoli nomadi del Marocco, alcuni ancora oggi in continuo spostamento, altri invece finalmente stanziati.

Lungo il nostro cammino ci siamo imbattuti nei Berberi del Deserto – come la famiglia delle nostre guide Rachid ed Iddir, che da una generazione ha deciso di abitare a Merzouga, alle porte del deserto sabbioso, aprendo un’agenzia viaggi di incoming e un accampamento privato per i loro clienti nel bel mezzo del Sahara – e nei Berberi delle Montagne, innumerevoli alle Gole del Todra. Alcuni infatti sono ora albergatori o ristoratori, ma altri invece, li abbiamo intravisti in lontananza dai finestrini della nostra macchina, in grotte buie scavate nella roccia a decine di metri di altezza, completamente in mezzo al nulla.

Curiosa dicotomia! Affascinante, a mio parere..

Il nostro viaggio prosegue verso il nord del Marocco.
Dopo circa 3-4 ore di macchina da Fes, giungiamo a Chefchaouen, la famosa città blu, villaggio di montagna che sorge contro le pendici innevate dei Monti del Rif.

Abituati fino a quel momento a comunicare con la gente del posto in francese (seconda lingua nazionale), notiamo una discrepanza al nostro arrivo: le persone parlavano tra di loro in arabo e spagnolo, mentre il francese era ben poco contemplato; alcuni lo masticavano appena, altri proprio non lo conoscevano. Capimmo subito il motivo: nel corso dei secoli, infatti, vi furono una serie di guerre, rivolte, resistenze e sottomissioni; gli invasori spagnoli si ritirarono dal Marocco settentrionale solo nel 1956, anno in cui venne proclamata l’indipendenza del paese, poco più di 50 anni fa.

Ecco ancora una volta come la storia si riflette nel presente, ed in particolare sugli aspetti linguistici e culturali di una nazione.

Chefchaouen ha una medina davvero graziosa, caratterizzata da piccoli viottoli tortuosi, con edifici di varie tonalità di blu e tetti a tegole rosse.

Il colore azzurro fu introdotto solo negli anni ’30 dai profughi ebrei, mentre in precedenza il colore più utilizzato era il verde, legato alla cultura musulmana.

Chefchaouen è sempre stata una città molto isolata fino all’arrivo delle truppe spagnole nel 1920 e, prima di allora, era proibito l’accesso alla città a cristiani (pena la morte). E’ incredibile come invece oggi questo luogo sia una vera e propria culla del turismo internazionale.

Numerosi infatti i locali ben curati ed organizzati per ricevere un pubblico proveniente da tutto il mondo.

L’altra faccia della medaglia? L’industria della cannabis.

“Nella zona del Rif infatti vi è la maggiore superficie coltivata a cannabis del mondo” – leggo ai miei compagni di viaggio dalla mia fedele Lonely Planet – “dalla quale si ricava il 42% della produzione GLOBALE” (dati del 2009).
“Il re tentò di proibirla, ma a causa di rivolte scoppiate in seguito a questo provvedimento, dovette rassegnarsi e autorizzarne la produzione”.

Non serve grande audacia dunque per trovarla: anche se non ne siete in cerca, incontrerete matematicamente qualcuno che vorrà vendervela. Vi consiglio di non dare retta a personaggi simili. E’ risaputo che alcuni ve la vogliano vendere, per poi denunciarvi alle autorità.
Diffidate di chi incontrate e non abbassare mai la guardia, soprattutto verso sera. I marocchini sono estremamente accoglienti ma in questa zona hanno chiaramente qualche vizio!

La città, in ogni modo, vale davvero la pena di essere visitata, viaggiate informati e consapevoli di quello che potrete trovare, sia sui punti di forza che di debolezza della destinazione stessa.

A fine viaggio le considerazioni vengono spontanee.

E’ incredibile come dal Nord al Sud del Marocco, si abbia attraversato così tanti habitat naturali. Siamo passati tra foreste di cedri, querce, tuie, ma anche pini e ginepri, palmeti, olivi e mandorli. Il Marocco è davvero variegato a livello paesaggistico e ricco di diverse specie animali e vegetali che creano un equilibrio meraviglioso grazie alle loro reciproche relazioni.

Alle porte del deserto abbiamo assistito addirittura ad un evento più unico che raro: la nevicata nel Sahara!
Potrete immaginare le nostre facce attonite che contemplano i grossi fiocchi bianchi posarsi al suolo.

Torniamo a casa meravigliati da questo splendido Paese e, personalmente, impaziente di venire a trovarlo nuovamente in un prossimo futuro!

Magari con qualcuno di voi?

Laurenzia Pellegrini