Il cammino o ancor meglio il camminare e, potendo permetterselo, l’immergersi in un lungo cammino esperienziale ritengo sia la più semplice, la più profonda, la più essenziale delle azioni terapeutiche.

Credo che lo sia semplicemente perché l’atto del camminare è proprio dell’uomo, è inscritto nelle sue cellule, credo lo sia perché tutto ciò che esiste, compreso l’uomo è energia, l’energia è movimento perpetuo ed il movimento perpetuo è vita; se perdiamo il movimento perdiamo la vita, ci dimentichiamo di noi stessi.

Il camminare in quest’epoca vuol essere un ritornare a ciò che siamo sempre stati ed è al contempo straordinario e lineare come questo semplice atto ci faccia stare bene.

L’uomo ha sempre camminato, lo ha fatto sin dai primordi.

“Sempre e dovunque l’uomo ha camminato, venando la terra di sentieri visibili ed invisibili, lineari o tortuosi”

scrive Thomas Clark. Il suo mezzo di locomozione sono stati i piedi, anche quando ha iniziato a muoversi a cavallo prima, con il carro poi e successivamente con la bicicletta si è sempre spostato a piedi,  per necessità quasi sempre, per curiosità esplorative più raramente, fino all’uso massivo dell’autovettura solo qualche decina di anni fa.

E nel riflettere sul senso di tutto questo, si sono fatte largo, tra una parola ed un pensiero, le immagini di quanto vissuto e visivamente immagazzinato nell’esperienza in Sierra Leone.

Nella sua essenza più intima, in quell’Africa che osserva in una sorta di oblio i popoli che arrivano, la depredano e cercano e vogliono cambiare ed insegnare, si vede la Vita che ancora scorre lenta ed inesorabile lungo le strade.

Le vie di comunicazioni rotabili sono poche, collegano i luoghi importanti, uniscono le città mentre i villaggi rimangono nascosti; nei crocevia di questo flusso ininterrotto, nei cosiddetti junction, la vita pullula di un’energia esplosiva poiché lì, si concentrano commerci, incontri, scambi, lì giungono e ripartono carichi di mercanzie, aspettative e speranze tutti coloro che vogliono comperare e vendere, lì ci si incontra.

E se le percorri con consapevolezza, se queste vie non le vivi come un passaggio dovuto per spostarti da una città ad un’altra, se tu decidi in piena presenza di dare a questi spazi la dignità di luogo, ti accorgerai che le strade sono ancora calpestate dai ragazzi che la mattina partono molto presto per raggiungere la scuola ed il pomeriggio sotto un sole spesso impietoso fanno lo stesso percorso al contrario, sulle strade camminano ogni giorno coloro i quali, partendo dalla porta di casa, si infilano nella boscaglia per raccogliere la legna che porteranno sulle spalle per chilometri al fine di procurarsi il combustibile necessario ad accendere il fuoco per cucinarsi il cibo, le strade sono vissute dai passi di coloro che devono raggiungere parenti in villaggi limitrofi e che semplicemente non possono permettersi di pagare neppure il prezzo di un trasporto. Scrive Robert McFarlane ne “Le Antiche Vie”:

“I sentieri uniscono. E’ la loro missione fondamentale, la ragione prima della loro esistenza. A rigor di termini uniscono luoghi, in senso lato uniscono persone” 

…e le strade africane sono così, vive, nelle strade si cammina e ci si incontra, le strade cambiano aspetto ogni giorno in funzione di coloro i quali le vestono, le strade hanno ancora una profonda, ampia, eterogenea funzione di comunicazione.

Vengono allora alla mente le parole di un amico “…come la penna si solleva dal foglio tra una parola e l’altra, così tra un passo e l’altro si sollevano e ridiscendono i passi di chi cammina” ed allora questo è un invito ad uscire dalla logica utilitaristica che vede nelle strade un puro strumento, per ritornare a viverle, camminarle, ritornare a sentirle luogo: luogo di viaggi solitari e di esplorazioni cittadine, luogo di incontro e di scambio, luogo di meraviglia e stupore, luogo del nuovo e dell’inaspettato.

Buoni Passi

Enrico Buttignon