A volte ci sono dei momenti in cui sembra che tutto si incastri, che tutto d’improvviso si metta a parlare della stessa cosa e, incredibilmente, è quella a cui stai pensando. Vi capita mai?
A me è successo qualche tempo fa: per caso e come se qualcuno volesse farmi un regalo scopro una terra e una storia incredibile. Insomma due delle mie più grandi passioni: un esploratore e un luogo selvaggio, legati l’uno all’altro, in un colpo solo e, in più, poco tempo dopo, uno dei miei scrittori preferiti che ne trae un libro… (n.d.r. Marco Albino Ferrari – “La via incantata”).
Insomma qualcosa era nell’aria e la sensazione di essere lì, al momento giusto, attento ad ascoltare quello che il vento portava alle mie orecchie beh è stata veramente una soddisfazione. La soddisfazione della scoperta.
Questa è la storia di come ho scoperto un uomo incredibile e una terra a lui legata: Giacomo Bove e la selvaggia Val Grande.
Giacomo Bove… il nome probabilmente non vi dirà niente come è successo a me la prima volta che l’ho letto su un pannello informativo nel Parco della Val Grande.
Ero stato attratto lì dopo aver sfogliato un libro sulle aree selvagge d’Italia a un festival sulla Montagna. Il Parco, che ha la stessa importanza di altri più famosi, sorge nella provincia di Verbania e, sebbene creato ormai da quai 30 anni, rimane poco frequentato con tutto il turismo della zona che è per lo più dirottato sul Lago Maggiore.
Arrivo a Cicogna, un borgo nella parte est del Parco, arroccato su un pendio, con una stradina tortuosa. Da lì parte uno dei sentieri principali che si infila nella Val Pogallo, tributaria della valle principale.
Si incontrano poche persone e, sebbene il sentiero sia ben tracciato, il paesaggio non delude le aspettative che derivano dallo slogan del Parco: l’area wilderness più grande d’Italia. Per quanto uno slogan valga per quello che è, ciò che contano sono le sensazioni e lì si sente la natura protagonista.
In realtà, un po’ come tutto il nostro territorio, non è che la Val Grande sia stata risparmiata dallo sfruttamento da parte dell’uomo, al contrario ha una storia di industria del legno che ha fatto di questa zona per anni il polmone della Lombardia, di questo importante materiale da costruzione.
Ma la storia ha voluto che non fosse più conveniente estrarre legno da quest’area, attività complicata già per l’orografia della zona e divenuta praticamente impossibile con lo sfruttamento per altri scopi industriali delle acque che servivano al trasporto dei tronchi.
La montagna si spopola e la natura torna quindi a riprendersi ciò che è suo e crea paesaggi mozzafiato che spingono Mario Pavan, entomologo dell’Università di Pavia, padre della prima Riserva Integrale d’Italia (quella di Sasso Fratino) a impegnarsi per crearne una anche qui, sul Monte Pedum nel 1971, gettando di fatto le basi per la creazione del Parco Nazionale che vide la luce nel 1992.
E Giacomo Bove? Chi è e cosa lo lega alla Val Grande?
Beh Giacomo Bove è un esploratore nato in provincia di Asti nel 1852. La famiglia umile riesce comunque a farlo studiare e lui ricambia impegnandosi e diplomandosi con onore all’Accademia Navale di Genova.
Intraprende da subito viaggi con scopi scientifici, geografici e cartografici, in zone ancora non descritte sulle mappe.
Viaggia in Estremo Oriente con la nave Governolo, getta le basi fondamentali con la spedizione Nordeskiold per la definizione di quella rotta identificata con il nome di “Passaggio a Nord-Est” a bordo della nave Vega.
Al suo ritorno è praticamente un eroe, un idolo per tutti, viene ricevuto al Quirinale, invitato in Francia dal presidente della Repubblica, conosce Victor Hugo di cui aveva letto in viaggio i libri. Di lui l’amico Edmundo De Amicis scrive:
“Al suo passaggio, le stazioni delle ferrovie erano affollate di studenti che gridavano al suo nome, nei vasti teatri migliaia di uditori pendevano commossi dalle sue labbra, nei banchetti cento calici cercavano il suo”.
Mi sembra di tornare bambino poi quando scopro che le sue gesta hanno ispirato la maggior parte delle opere avventurose di Emilio Salgari. Quante volte ho letto quei libri sognando di essere Bove senza saperlo!
Il sogno di Bove invece è una spedizione in Antartide, ma servono fondi e lui cerca ovunque enti ed associazioni disposti ad aiutarlo.
Anche in Argentina arriva la sua fama, sono interessati al suo progetto dell’Antartide ma hanno altre priorità, la Patagonia, dove alcune zone non sono ancora descritte sulle mappe e lui non si tira indietro.
Con ben due spedizioni, descrive geograficamente la Terra del Fuoco, dove i toponimi ricordano ancora oggi il suo nome.
Proseguono le raccolte fondi e una serata viene organizzata ad Intra con il supporto del CAI. I soldi non sono ancora abbastanza.
Parte per una spedizione in Congo, dalla quale torna nel 1886 ma comincia a non sentirsi bene. Il fisico cede ogni giorno di più, una sofferenza anche psicologica per un uomo forte, abituato ad affrontare tutto, l’ignoto del mondo.
Ma la malattia, forse malaria ma non si saprà mai, avanza e lui decide di non darla vinta a quel brutto male. Decide di farla finita da solo e all’età di soli 35 si suicida con un colpo di pistola a Verona. Il primo ad accorrere sul posto? Lo scrittore e giornalista Emilio Salgari, il primo a dare l’ultimo saluto all’invidiato mentore, protagonista delle avventure da lui solo immaginate.
In un’Italia bigotta di fine ottocento però il suicidio è peccato. A Giacomo Bove vengono negati i funerali e fatica a trovare una sepoltura.
Di lui non si parla più, passano le generazioni e ahimè a tanti, troppi, viene privato anche solo di conoscere il nome di un grande uomo.
E la Val Grande? Beh dopo anni di discussioni quei fondi raccolti dal CAI non finiscono in una scultura o in un museo ma nella creazione di un sentiero, il Sentiero Bove, selvaggio e difficile, attrezzato: la prima via ferrata delle Alpi.
Un altro primato per il grande esploratore, un eroe da non dimenticare più.
Noi in Val Grande andiamo a cercarci il nostro sentiero, la nostra natura selvaggia, la nostra avventura ai confini nord del parco, vieni con noi?