Quando abbiamo deciso di dormire qui, in questo rifugio, era già da un po’ che mi ripromettevo di documentarmi su questo nobiluomo di tempi passati e l’occasione ha fatto sì che finalmente, su questa terrazza immersa nella cornice del Gran Sasso d’Italia, sia riuscito ad avere un po’ di tempo per farlo.

Comincio allora a leggere sull’uomo a cui è intitolato il rifugio che mi ospita: il “Duca degli Abruzzi” ovvero Luigi Amedeo di Savoia: nobiluomo, ammiraglio, esploratore, alpinista…

riuscite a pensare a titoli più affascinanti per definire un uomo solo?

In realtà mi ero imbattuto tempo fa nel suo nome leggendo della montagna degli italiani, il leggendario K2 e l’impresa (io amo chiamarla così) della sopravvivenza di Walter Bonatti e Amir Mahdi; ma torneremo più avanti su cosa lega il nostro protagonista a quella montagna.

Il nostro Luigi Amedeo nasce nel 1873 terzogenito di Amedeo Ferdinando di Savoia, re di Spagna.

Nato con la camicia? Beh anche se non si può certo compatire uno con quei natali proprio fortunato all’inizio non lo è: il padre viene praticamente costretto ad abdicare e la famiglia Savoia torna in Italia. Luigi rimane orfano di madre a tre anni e a sei anni e mezzo viene imbarcato come mozzo per iniziare la carriera militare (non proprio una partenza favorita né un parco giochi per un bambino di sei anni).

Ma il nostro Luigi è portato per quella carriera, che lo porterà a soli sedici anni a fare la prima circumnavigazione del globo. In marina conosce Manlio Garibaldi (figlio di Giuseppe, si proprio quel Giuseppe lì) e soprattutto Umberto Cagni che sarà un fedele compagno di avventure.
Si perché, tornato dal giro del mondo e nominato da Umberto I “Duca degli Abruzzi”, il nostro Luigi non si ferma e quando non è per mari comincia a scalare montagne: Gran Paradiso, Monte Rosa e Monte Bianco.

Torna però in mare, viene inviato in missione a Mogadiscio, Somalia (si innamorerà di questa terra fino a scegliere di andarci a morire). Nel 1894 salpa di nuovo per la seconda circumnavigazione del globo.

Durante il viaggio scopre l’esistenza di una montagna inviolata tra l’Alaska e lo Yukon: Monte Saint Elias (5489m) e nel 1897 torna là e, insieme a Cagni, conquista la vetta.

Nell’estate 1898 scala due delle cime delle Grandes Jorasses, che battezza punta Margherita e punta Elena in onore, rispettivamente, della zia e della cognata.

Ma l’ambizione e la curiosità non risiedono per lui solo nell’altitudine ma anche nell’ignoto, nell’esplorare.

Tra il 1899 ed il 1900 organizza la spedizione verso il Polo Nord che, il 25 aprile 1900, raggiungerà la massima latitudine artica di 86° 33′ 49″ con la nave Stella Polare!

Nel 1909 partecipa alla spedizione in Pakistan, sul massiccio del Karakorum, verso la vetta del K2 (eccoci); non la raggiunge, ma realizza il nuovo record mondiale di altitudine (6250 m) e inizia la via “Sperone degli Abruzzi” che verrà poi utilizzata per la conquista finale della vetta da parte della spedizione degli italiani nel 1954, quasi cinquant’anni dopo.

Partecipa alla prima guerra mondiale distinguendosi nell’organizzazione dell’evacuazione di 185.000 profughi civili e militari serbi dalla costa albanese.

Dopo la guerra torna in Africa e intraprende un’operazione di grande bonifica agricola nella sua amata Somalia lungo la valle del fiume Uebi Scebeli di cui, nel 1928, nel corso della sua ultima esplorazione, scopre le sorgenti.

Crea un’azienda agricola moderna ed efficiente che si basava sulla condivisione, sulla distribuzione delle terre a coloro che vi lavoravano, sulla possibilità di studiare per i figli degli agricoltori, sulla libertà di culto.

Nello stesso periodo in cui in Italia si parlava di “razza superiore”, in Africa, il Duca, veniva considerato da tutti i somali un “padre”.

Muore nel 1933 e viene sepolto lì, sulle rive del fiume del quale ha scoperto il principio.

Nobiluomo non solo per questioni dinastiche, il Duca, era un uomo moderno, una personalità pubblica che ha sempre difeso la sua vita privata, un uomo nato con tanti privilegi ma che ha fatto di tutto per mettersi in situazioni in cui il suo status sociale non contava nulla.

A lui Giovanni Pascoli dedicò poesie e sono tutt’ora a lui dedicati il Museo nazionale della Montagna a Torino e, oltre al Rifugio nel Parco del Gran Sasso da dove sto studiando un po’ della sua vita grandiosa, anche un altro rifugio presso il Lago Scaffaiolo nell’Appennino Tosco-Emiliano e in Valtournanche ai piedi del Cervino…

per ogni posto che esploro ne scopro almeno altri tre da aggiungere alla lista!

Ormai è buio e comincia a far fresco in questa notte d’estate in Gran Sasso, vado in branda! A presto!

Federico Chiodaroli

Federico Chiodaroli