LA PREMESSA

La lunga storia della diga del Vajont, delle comunità di Erto e Casso, di quanto insomma successe nei lunghi anni che precedettero la fatidica notte del 9 ottobre 1963 è molto più complessa, reticolare e incredibile (letteralmente, è talmente sconvolgente da essere difficile a credere) di quanto sia il percepito comune.

Marco Paolini nell’introduzione al libro verità di Tina Merlin scrive:

“Le storie non esistono finché non c’è qualcuno che le racconta. La tragedia del Vajont esisteva, eccome !! Emozioni, storie, passioni. A volte sono un pugno nello stomaco che ti toglie il fiato, che ti lascia dentro una rabbia e un senso di ingiustizia subito intollerabile.  …”

La storia del grande Vajont in realtà è una vicenda sostanzialmente sconosciuta ai più, una saga di popolo “di lotte tentate, di ribellioni imbastite, di partecipazione civile contro i potenti, le loro angherie, le loro leggi e la trasgressione alle leggi dello Stato”.

Quanto successe a Longarone è un attimo, un lampo, un flash inenarrabile che segue anni ed anni di vicissitudini che hanno impattato violentemente sulla vita delle comunità di Erto e Casso, perché è quassù in questo luogo isolato geograficamente, socialmente e perfino antropologicamente che si sono svolti i fatti; tra le case di pietra, gli stretti vicoli e le osterie di questi paesi.

Erto e Casso, un unico comune, provincia di Udine (Pordenone non era ancora provincia allora) ma molto più vicini geograficamente e quindi nella quotidianità al bellunese, alcuni tornanti, pochi chilometri e si scende a Longarone, altri venti minuti e si è a Belluno.

Erto e Casso, 900 abitanti circa il primo ed circa 450 il secondo, dediti alla terra ed alla pastorizia; ed è proprio alle falde del Monte Toc, il monte franato dalla parte opposta della valle su cui insistono i due paesi, che vi sono i terreni e le malghe, i beni importanti per l’economia della valle. Spesso pastori ed agricoltori hanno una doppia dimora: la casa in paese ed un alloggio per l’estate al di là del fiume; insomma una comunità isolata sì e che conserva quindi gelosamente usi e costumi antichi, una comunità salda, sana e solidale a se stessa ed al proprio modo di vivere pensare ed agire.

Erto e Casso, una comunità e due paesi diversi politicamente, divisi dalle classiche rivalità di campanile, rivaleggianti per eredità, donne e antiche combutte, ma inserite in una stessa storia.

Ed è in questo contesto che fa la sua entrata in scena nel 1956 la SADE: Società Adriatica di Elettricità; arriva in forze con tecnici, operai macchine e strumenti e l’impressione di forza, sicurezza, chiarezza è tale che nessuno mette in dubbio che abbia tutte le carte in regole per procedere a dare il via ai lavori della più grande diga del mondo, in realtà le cose non stavano esattamente così.

E’ sin dall’inizio del secolo in realtà che il Conte Volpi di Misurata fondatore della SADE, alla guida del ministero delle finanze durante il periodo fascista, stava ipotizzando questo grande progetto, il suo progetto.

E’ dall’autunno del 1943 in piena guerra, nel silenzio e nel caos dei corridoi dei palazzi ministeriali che la SADE lavora per ottenere tutte le concessioni necessarie. Riuscì ad ottenerle strappando un’autorizzazione durante un’adunanza del consiglio superiore dei lavori pubblici a cui parteciparono solo 13 componenti su 34, rendendo di fatto illegale questa decisione, che in realtà venne comunque messa in atto.

Ma la cosa ancora più incredibile è che mentre tutto ciò aveva corso e sino alla fine  del 1948, nessuno mai comunicò alle comunità di Erto e Casso che sarebbe arrivata una società ad incanalare e sfruttare le acque del loro torrente a sconvolgere l’ecosistema in cui avevano vissuto da generazioni e soprattutto a defraudarli della terra (offrirono loro una miseria per i terreni: poco meno di 4 lire al metro quadro e non in denaro ma in titoli: cornuti e mazziati come si suol dire).

Dalla fine degli anni ‘40 e fino al 1956 la SADE continua a lavorare, scandagliare, progettare e sin dai sondaggi preliminari in roccia per tastarne la consistenza, iniziano le prime avvisaglie: piccoli franamenti, tremolii di case e divieti al transito; ciò causa i primi danni alla già  povera economia locale di  sussistenza. Si va avanti senza sosta e senza che nessuno riesca ( …o forse voglia) fermare una macchina che qualche anno dopo fu definita “un vero organismo dominante la vita stessa dello stato”.

Nell’aprile del 1957 iniziano i lavori per la costruzione dell’immensa diga e contemporaneamente la SADE presenta al Ministero (che firma senza andare a verificare) un nuovo e più ardito progetto che eleva la diga da 200m a 266m triplicando in un solo colpo (da 58 a 150 milioni) il volume in metri cubi e portando il livello ipotetico dell’acqua a soli 54 metri dal livello della piazza di Erto, il paese si troverebbe sostanzialmente a strapiombo sull’invaso.

Alla fine il nuovo progetto è impressionante: altezza 262m, lunghezza al coronamento 190m, lunghezza all’arco 168m, spessore di cemento alla base 22m, spessore alla sommità 3,5m, calcestruzzo usato 360.000 metri cubi, roccia asportata per fondazione incastri laterali 400.000 metri cubi.

LA STORIA

1959 : la commissione di collaudo del ministero viene e va da Erto, nulla ha da eccepire, ma le preoccupazioni iniziano già poiché a fronte di una prima valutazione in cui si dichiarava che il Monte Toc si basava su un potente basamento con frane possibili di modesta entità (10-20m), le successive e più attente valutazioni parlano invece di una “enorme massa in movimento estendibile su due chilometri e mezzo da cui potrebbero staccarsi frane a ripetizione”, tali documenti vengono segretati

1960 :  la SADE va avanti, deve arrivare al collaudo completo entro il 1960 altrimenti dovrà dire addio ai contributi ministeriali; inizia così a riempire l’invaso il 2 febbraio mentre l’autorizzazione  (a quota 595m) arriverà solo 4 giorni dopo.  A maggio arriva un ulteriore autorizzazione a salire a quota 660m e mentre l’acqua sale dalle falde del Monte Toc continuano a franare terriccio, sassi, avvengono smottamenti di varia entità, i sismografi segnano costantemente piccole scosse, tanto che viene segnalato alla popolazione il pericolo di accesso e quindi il divieto di avvicinarsi alle sponde del lago …qualcosa non va.

Alla fine di ottobre cade molta pioggia, come al solito d’altronde in quel periodo; la differenza è che per tutto il corso dell’anno il Monte Toc è stato trapanato, forato, sondato, ferito da centinaia di scoppi di mine necessari alla costruzione di una strada in galleria. Le acque delle piogge e dell’invaso possono facilmente penetrare la terra e così accade che il 4 novembre una frana con fronte di 300m “piomba nel lago”.  Le case si fessurano, altri terreni cedono, le spie di controllo disseminate alle falde della montagna si rompono.

La SADE la notte stessa sbarra qualsiasi strada di avvicinamento alla zona franosa onde evitare fastidiose presenze che possano documentare nel dettaglio quanto successo: è evidente che la frana c’è ed è grossa.

L’8 novembre l’Unità esce con un articolo dedicato, il giornale viene citato in giudizio dalla SADE ma la sentenza dà pienamente ragione ai giornalisti.

Poi l’arrivo dell’inverno congela l’acqua, si consolidano momentaneamente i terreni e si blocca quindi ogni ulteriore movimento.

1961 :  Il 21 febbraio esce un altro articolo il cui titolo è “Un’enorme massa di 50 milioni di metri cubi minaccia la vita e gli averi degli ertani” eppure nulla di serio si muove per tutto l’anno sino a dicembre quando la SADE ottiene l’autorizzazione a portare l’altezza dell’acqua nell’invaso fino a 660m.

Nel frattempo in questi ultimi due anni la SADE aveva fatto alcuni test in laboratorio per ipotizzare l’impatto della caduta di una frana nell’invaso tramite modellini studiati ad hoc; i test  facevano chiaramente capire come la situazione fosse già molto precaria e dimostravano come la cosa sarebbe potuto diventare tremendamente e catastroficamente pericolosa alzando ulteriormente ai 700m slm il livello dell’acqua, limite teorico di sicurezza; ma tutte queste informazioni rimasero appannaggio della sola SADE, tutto ciò si seppe solo molto tempo dopo.

1962 : un’ulteriore richiesta fatta all’inizio dell’anno dalla Società Elettrica al Consiglio dei lavori pubblici è di elevare ulteriormente fino a 680m il livello… nonostante l’imponente frana di poco più di un anno prima, nonostante da febbraio si sentano scosse importanti, nonostante tre profondi e potenti boati provenienti dall’altra parte della valle tra il 21 ed il 30 Aprile seguiti da movimenti tellurici di discreta entità (V grado della scala Mercalli) e nonostante tutto questo, nel mese di maggio, la SADE ha la spudoratezza di chiedere un ulteriore innalzamento dell’invaso a 700 metri.

In giugno si eleva il livello dell’invaso a circa 700m ed a luglio iniziano a farsi ancora più marcate fessure profonde sulle falde del Monte Toc (per inciso “toc” in dialetto vuol dire pezzo …la montagna fatta da pezzi …non compatta), in autunno si rileva un significativo aumento della velocità di abbassamento delle falde stesse …siamo molto vicini ad un livello di criticità.

Ma siamo anche molto vicini alla data in cui gli impianti idroelettrici verranno nazionalizzati e lautamente pagati ai proprietari privati: bisogna continuare ad alzare, a correre, ad accelerare …più il collaudo verrà fatto ad un livello alto dell’acqua e maggiori saranno gli introiti!  …e proprio nel dicembre del 1962 viene pubblicata la legge che istituisce l’ENEL ed il trasferimento per la SADE arriva 3 mesi dopo, a marzo del 1963 …ora il rischio è tutto dello Stato …e d’altronde “la SADE non ha altra via d’uscita che quella di continuare (ad alzare) per non dover smentire immediatamente se stessa”

1963 : successivamente alla nazionalizzazione dell’impianto (in data 14 marzo) il 20 marzo la SADE nel ruolo di garante del manufatto chiede di portare a 715m slm il livello dell’acqua “quindici metri sopra il livello di sicurezza” e l’autorizzazione arriva subito, “…il 10 aprile comincia il terzo invaso. E’ una sfida terribile alla montagna”. L’acqua continua a penetrare sempre più in profondità nelle viscere della terra ed a spingere, spaccare, allargare  fino al 2 settembre quando una fortissima scossa smuove l’intera valle. Verso la metà del mese “una nuova fessura vicina alla punta del Monte Toc …si notano inclinazioni degli alberi ed avvallamenti sulla strada di circonvallazione …nonché uno slittamento di 22 centimetri” del fronte franoso. La gente ha paura chiede spiegazioni alle autorità competenti che confortate da tecnici compiacenti continuano a rassicurare.  In realtà, alla SADE, pare si sia decisi a svasare, ma si aspetta ancora fino alla fine del mese, mentre il Direttore del cantiere in mezzo a questo bailamme va in ferie, ed in America per giunta.

8 Ottobre: si registra un movimento franoso compreso tra i 57 ed i 63 centimetri.

diga vajont

Il 9 ottobre è una stupenda giornata di sole. Di questa stagione la montagna è splendida, rifulge di caldi colori autunnali. La gente di Casso va e viene ancora dal Toc, portando via dalle case e dagli stavoli più cose possibili. Ma altra gente non vuole abbandonare le case ed i beni malgrado l’avviso fatto affiggere dal Comune, pressato dalle richieste provenienti dal cantiere …(Viene la sera) e la gente adesso è tutta nei bar a vedere la televisione. Sono ancora pochissimi i televisori privati ed in eurovisione c’è la partita Real Madrid-Glasgow Rangers. Due squadre molto forti, una partita da non perdere. E infatti molta gente è scesa dalle frazioni a Longarone ed anche da altri paesi della valle per godersi lo spettacolo nei bar. La gente si diverte, discute, scommette sulla squadra vincente.  Sono le 22.39. Un lampo accecante, un pauroso boato. Il Toc frana nel lago sollevando una paurosa ondata d’acqua. Questa si alza terribile centinaia di metri sopra la diga, tracima, piomba di schianto sull’abitato di Longarone, spazzandolo via dalla faccia della terra. La storia del grande Vajont durata vent’anni si conclude in tre minuti di apocalisse con l’olocausto di 2000 vittime”  –  T. Merlin – Sulla pelle viva

Monte Toc

“La tragedia del Vajont è l’ultimo sciagurato esempio di “come la politica sia economia”, è la conferma che la classe dirigente… per dirla con lo storico Silvio Lanaro ..così “prontamente, cocciutamente, perdutamente innamorata dell’economia come chiave universale che apre le porte alla felicità” ha rinunciato all’idea di Stato consentendo che la SADE diventasse Stato.  …e se la politica è economia, la legge del profitto determina le scelte politiche.

Il processo sulla tragedia del Vajont, spostato nell’amena e lontanissima L’Aquila per improbabili ma ben comprensibili motivi dalla Cassazione, si conclude con la condanna a pene lievi, in gran parte condonate di tre soli imputati. L’Appello e la Cassazione alleggeriranno ancora di più le condanne, anche se la prevedibilità dell’evento è quantomeno riconosciuta

Il 23 marzo del 1971 quando il lungo iter giudiziario si chiuderà definitivamente, si può dire che nulla è successo”  –  S. Canetrini – Vajont: genocidio dei poveri

Enrico Buttignon