Da un po’ di tempo sentivo la necessità di provare di nuovo quella sensazione che solo trovarsi davanti all’immensità dei “tetti del mondo” sa scatenare. Non certo trovarsi sopra (che non è il mio campo) ma davanti, ad ammirare la forza e la storia della natura. Mi era successo di provare quella sensazione in Himalaya davanti alle pareti dell’Annapurna sud e della “pinna di pesce” del Machapuchare. Quest’anno abbiamo deciso di andare dal “nostro” gigante di granito.

“Nostro” per modo di dire visto che la Francia dice che è suo così come l’Italia (quest’ultima senza troppa convinzione peraltro). Le dispute sui confini mi lasciano, tuttavia, abbastanza indifferente.  E poi, figuratevi quanto può importare al Re delle Alpi.

Scendiamo dal pullman a Courmayeur, in perfetto stile eco-sostenibile e, percorsa l’opulenta Via Roma, si comincia subito a risalire per la Val Ferret per questo girotondo che abbraccia il massiccio su e giù attraverso Italia, Svizzera e Francia.

Bastano pochi passi, il tempo di riuscire a spostare l’inquadratura in modo tale da non essere “impallata” dal Mont Chetif, che il Gigante mi conquista.

Un grifone (Gyps Fulvus) ci sorvola radente e si fa ammirare, nel suo volo planato e circolare, in tutta la sua maestosità di rapace. Mi ricordo che anche in Annapurna, i grifoni ci avevano accompagnato lungo i sentieri. Siamo sulla strada giusta, penso.

In cima al Grand Col Ferret rimaniamo senza parole: a sud-ovest le guglie delle Grandes Jorasses e il letto del ghiacciaio del Prè de Bar detto a coda di volpe, a nord-est il Cervino e il Monte Rosa. Il cuore si ferma per un istante, la sensazione è quella di essere onorati per essere arrivati al cospetto di tanta bellezza. E siamo solo alla seconda tappa.

Da lì in poi il viaggio porta a incontrare con lo sguardo cime e ghiacciai che avevo solo immaginato studiando la mappa, tutto è incastonato in cartoline da ricordare per sempre.
A ogni guglia un’impresa alpinistica e una storia che ho letto sui libri. Le acrobazie di Bonatti al Petit Dru (ma a me piace ricordare di più la doppia solitaria con Mauri sulla sud-est del Bianco), Cassin e Gervasutti sulla Grandes Jorasses, Grassi all’Aguille Verte; solo per citare alcuni dei grandi italiani che si sono cimentati con le cime del Bianco.

A valle di questo viaggio posso dire che:
Nonostante le presenze ingombranti della Skyway, l’unica funivia che porta quasi in vetta ruotando, in modo da non far fare nemmeno la fatica di girare la testa, per vedere il panorama, ai suoi facoltosi clienti (antitesi del “by fair means” di Mummery-ana memoria), e dei tanti fronti tracciati da seggiovie e altri impianti di risalita,
Nonostante i trafori e i trenini,
Nonostante le costruzioni fitte di Courmayeur e Chamonix,
Nonostante il business, il lusso di attività turistiche che con la montagna poco hanno a che fare…
Nonostante tutto: il Tour du Mont Blanc è ancora un viaggio nel sublime che conquistò i grandi poeti romantici inglesi.

Percy Arthur Shelley scrisse un intero poema!

“Far, far above, piercing the infinite sky,
Mont Blanc appears,—still, snowy, and serene—
Its subject mountains their unearthly forms
Pile around it, ice and rock; broad vales between
Of frozen floods, unfathomable deeps,
Blue as the overhanging heaven, that spread
And wind among the accumulated steeps;”

Percy Arthur Shelley

Mi chiedo però, nonostante tutto…ma fino a quando?
La montagna soffre la nostra ingombrante presenza e, senza raggiungere toni estremisti della wilderness a tutti i costi, (a volte anacronistici in luoghi alpini come questo che sono assolutamente “paesaggi culturali”, somma di tutto quello che c’è, naturale ed umano, buono o cattivo) qui è chiaro come sia stato raggiunto un limite.
La montagna soffre anche per quello che non viene fatto in montagna e che qui fa vedere i suoi effetti.

Proprio nei giorni in cui camminavamo sui sentieri del TMB, sul versante francese del massiccio, era al lavoro il team della spedizione alpina 2021 di “On the trail to glaciers”.
Fabiano Ventura, ha ideato questo progetto di studio dei ghiacciai attraverso il confronto tra le foto storiche e quelle odierne, rifatte negli stessi esatti punti. Oltre ad essere ricco del fascino dell’esplorazione e della ricerca sul campo, oltre ad essere un validissimo studio scientifico, questo progetto è a mio avviso assolutamente il più efficace a livello comunicativo.
Viviamo in un mondo fatto di immagini e la precisione con cui vengono studiate e riprodotte le inquadrature, rendono il messaggio, trasportato da questo progetto, dritto e preciso come una freccia. Speriamo raggiunga più persone possibile e in particolari i cuori di chi ha veramente il potere di cambiare ancora qualcosa.

Tanto ci sarebbe da dire ancora ma mi sono dilungato troppo.

Concludo con qualche dato: il TMB è lungo circa 170km e completarlo comporta affrontare un dislivello positivo di circa 10.000m. Troppo? Vi assicuro che li merita tutti, una volta nella vita (almeno), se la montagna è il vostro habitat, allora non avete scelta. Il TMB vi ha già preso per mano e vi ha già portato via con sé. Io vi posso solo assicurare che ne vale la pena.

Sul tracciato ho potuto verificare dove è meglio dormire, i posti migliori e le occasioni per viverlo ancora come un’avventura con la tenda. In 9 tappe è accessibile a un trekker normalmente allenato. Chi è pronto a venire con me? E poi vuoi metter poter dire:

Ho fatto il TMB!

Se siete arrivati fin qui allora spero di avervi incuriosito e vi auguro buona visione: questo di seguito è il Tour du Mont Blanc, il Girotondo del Gigante visto attraverso il piccolissimo sensore del mio smartphone.

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Federico Chiodaroli

Federico Chiodaroli